Lettera Padre Quaresima 2020

Lettera Padre Quaresima 2020

Italy1.png Carissimi confratelli
 

SIANO LARGHE LE BRACCIA
CONSACRATE DELLA FAMIGLIA
ROSMINIANA
IN TEMPI DI GRAVE PROVA

“E’ il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo” (Sal 77,16).
“Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo” (Sal
98,1).
“Tu hai fatto uscire dall’Egitto il tuo popolo Israele
con segni e con miracoli, con mano forte e braccio possente”. (Ger
32,21).
“Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”. (Lc 1,51).
Questo titolo viene alla mente contemplando
l’affresco medioevale di Gesù crocifisso nella navata
centrale della Basilica di San Giovanni a Porta Latina, a
Roma. Probabilmente altri sono più “belli”. In questo, lo
stupore è dovuto alle sue braccia, molto larghe. La carità di
Dio è infinitamente eccedente.
Il pittore ha ignorato i piedi, pur di dare ai fedeli quasi un
“primo piano” ravvicinato ed eloquente. Perché? Il motivo
è evidente, se si osserva anche la scena della parte
superiore, la quale mostra la cacciata della coppia
peccatrice. Le bellissime porte dell’Eden rimangono
sbarrate lassù fino a quando il nuovo Adamo, Gesù,
umiliando sé stesso fino alla morte, con le braccia stese fra
cielo e terra, le spalanca perdonando i suoi crocifissori, tutti
noi, e tutti quelli che si lasciano riconciliare con il Padre.
Le braccia di Gesù ora sono anche le braccia larghe della
Chiesa, quindi anche le nostre braccia rosminiane. Noi
religiosi, fratelli e sacerdoti, figli adottivi, suore rosminiane,
ascritti: siamo la Famiglia rosminiana dalle braccia larghe,
perché la nostra carità è, e deve essere, universale.
Come tenere larghe le braccia in questo tempo di pericoli
per tante persone?
La situazione presente di grande prova per tutta l’umanità
induce a cercare l’essenziale, per cancellare molte illusioni,
senza rinunciare ad essere braccia della carità, secondo la
nostra vocazione.
Sta prolungandosi una situazione unica e imprevista. Il
Santo Padre celebra da solo, i vescovi, i sacerdoti, devono
fare altrettanto. Allargano ancora le braccia nei gesti
liturgici, le alzano, come faceva anche Gesù, mentre
pregano il Padre nostro, ma non ci sono fedeli nella chiesa.
Rinunciare a celebrare? Assolutamente no, i ministri
continuino, anche senza presenza dei fedeli. I fedeli non
disperino, anche se non possono partecipare di persona,
attivamente e fruttuosamente. Come mai?
Perché c’è un culto “in spirito e verità” presente e
indispensabile nelle celebrazioni solite, ma che non dipende
solo da esse. E’ la vita divina comunicata nei sacramenti, che
ci rendono concorporei e consanguinei con Cristo
permanentemente, e tempio abitato dallo Spirito.
Accettiamo fiduciosi tutto ciò che accade alla Santa Chiesa,
operando dietro la chiamata divina. Come il popolo
pellegrinante nel deserto durante l’esodo verso la terra
promessa, sentiamo che la “colonna di fuoco”, la presenza
divina ci mostra il cammino e mantiene “in alto i nostri
cuori, rivolti al Signore”.
Ci domandiamo: come ha fatto Antonio Rosmini a
continuare e perfezionare la sua consacrazione anche se
doveva affrontare prove molto dure?
La risposta è una sola: ha corrisposto alla grazia di Dio,
giorno dopo giorno, consacrandosi alla carità, nel culto in
spirito e verità.
E’ facile documentare questa sua consacrazione.
“E il dedicarsi e il consacrarsi a Dio, e a Dio solo piacer,
patir per Dio, del suo contento sol godere in Dio”.
Questa consacrazione era decisa e attuata, giovane prete
novello di 24 anni.
Ma già quel “consacrarsi” personalmente richiedeva un
completamento, una comunità non di soli preti, ma anche
di altre persone consacrate.
Ecco una riflessone attuale.
Dalla limitazione all’esercizio del nostro ministero
sacerdotale, cari confratelli sacerdoti, prendiamo motivo
per un esame di coscienza riguardo alla nostra stima nei
confronti della consacrazione religiosa. C’è ancora il
clericalismo, cioè la sovrastima di un ministero, inteso e
gestito come se fosse un potere. Il virus ci sarà sempre, ma
non dovrebbe toccare il nostro Istituto, lo sappiamo. Siamo
religiosi, siamo indifferenti, ma, ecco la tentazione:
abbandonare l’ Istituto, rinunciando alla propria
consacrazione religiosa.
Rosmini, invece, era già prete: si è consacrato religioso
successivamente. Questo deve significare molto. Quando
Dio piantò l’Istituto sul Calvario di Domodossola, sotto le
braccia larghe del crocifisso, anche altri quattordici erano
già preti come lui, ma erano lì per diventare religiosi
rosminiani! C’è tanto da riflettere. Scrivo questo, sia ben
chiaro, non perché diminuiscano i preti nell’Istituto, ma
perché la consacrazione religiosa a Dio e al prossimo di tutti
loro faccia ben sperare che saranno anche buoni preti.
Riguardo alla consacrazione, che cosa disse loro,
nell’omelia?
Ecco la frase sublime, stella intramontabile per lui e per noi:
“Fratelli, alla carità di Dio dobbiamo tutta la nostra
gratitudine! Pur non avendo bisogno di noi, Egli per primo
ci ha amati (1 Gv 4,19). Dobbiamo dunque effonderci in
gioia santa, perché non c’è momento più felice di quello in
cui l’uomo, venuto da Dio, si rifonde in Dio, e in cui la
creatura, mossa dal suo Creatore, a lui si consacra”.
“L’uomo, venuto da Dio, si rifonde in Dio, e la creatura,
mossa dal Creatore, a lui si consacra”. Luce perenne sulla
nostra vocazione!
Grazie a questa sua convinzione le dure prove degli anni
successivi, riguardo alle case che si dovevano chiudere, alle
missioni che non raggiungevano il risultato sperato, non
fecero entrare Rosmini in crisi di vocazione né in
depressione.
Brevissimi cenni della sua incrollabile consacrazione.
L’imperatore non dà l’approvazione delle Costituzioni, il
vescovo non continua più a sostenere l’opera in Diocesi. Per
lui è segno che Dio non ci vuole più qui, “nemo profeta in
patria”: non c’è solo il Tirolo dove poter vivere e praticare
la carità consacrata.
Il Governo gli sospende il mandato a Roma, il papa non
condivide più alcune proposte, due scritti di Rosmini
vengono vietati alla lettura. Pazienza, fiducia nella
Provvidenza; avanti, tanti altri scritti invece saranno
apprezzati e liberati da dubbi e sospetti: “Dimittantur”,
potranno circolare.
Le prove hanno messo alla prova la sua consacrazione, ma
non l’hanno potuta spegnere, l’hanno temprata, come nel
fuoco, perché forte, più della morte, era sempre il suo
amore per Dio.
Anche per noi è così. La “rifusione in Dio” è sempre
possibile; la consacrazione è per tutta la vita.
Una bella pagina della prima consacrazione rosminiana.
Ci aiuta ricordare che la nostra Famiglia rosminiana è quella
dalle braccia larghe, dalla mente alta e dal cuore grande.
E’ nata proprio quel giorno, il 25 marzo 1839.
Con Rosmini erano lì, per consacrarsi, 14 Coadiutori
spirituali (cioè Sacerdoti), cinque Coadiutori Temporali (cioè
religiosi non sacerdoti), ed erano lì anche cinque Ascritti
sacerdoti diocesani, e cinque Ascritti laici.
Inoltre, “Nell’ora medesima che al Calvario, la stessa
cerimonia si compiva in due luoghi d’Inghilterra, a
Spetsbury e a Prior Park”. Nel primo luogo fecero i voti don
Luigi Gentili e don Giovanni Battista Pagani, “nella cappella
delle Suore (rosminiane) che vollero essere presenti”. Altri
due Coadiutori spirituali, due Coadiutori temporali e uno
scolastico fecero i voti nelle mani del vescovo, nel secondo
luogo”. (Cfr. Vita di Rosmini, Pagani-Rossi, vol. II pag. 4-5).
La Famiglia rosminiana, piccola, ma completa delle sue
quattro braccia, c’era tutta, nella Solennità
dell’Annunciazione del Signore, del Verbo incarnato,
umanato.
E’ importante sostare ancora a contemplare la totalità della
consacrazione secondo l’impronta caratteristica
rosminiana. Si tratta di una cosa non da poco, anzi, della
natura della “consacrazione” rosminiana. Limitiamoci a
pochi esempi., tratti dalle Regole Comuni dell’Istituto,
stampate due anni prima. Sono 90. La gran parte sono
tratte dalle Costituzioni della Compagnia di Gesù. Tra quelle
scritte da lui, queste tre che seguono riguardano la
“consacrazione” costante, ora per ora, in qualsiasi attività.
La regola n. 1 afferma che “lo Spirito Santo è solito
imprimere nei cuori una legge interna d’amore e di
efficacissima carità; la misericordia del medesimo Spirito
porterà a compimento l’opera della salvezza e della
perfezione di tutti noi”. Ecco in che cosa consiste la
consacrazione: corrispondere allo Spirito nel portare a
compimento l’opera che ha iniziato. Consacrarmi significa
“lo star, l’andar e il ritornar con Dio”.
La regola n. 11 è ritenuta importante per la perfezione
dell’anima, che consiste in una squisita carità di Dio.
Persone particolarmente esperte nella spiritualità della vita
consacrata hanno qualificato questa regola, si potrebbe
dire, con sigillo “DOC” di grande qualità. “Il primo e più
solido esercizio di pietà (cioè di culto a Dio) consiste nello
sforzarsi di fare ogni giorno più perfettamente, con la grazia
del nostro Signore Gesù Cristo, tutto ciò che si deve
compiere secondo il proprio stato e grado, congiungendo
sempre meglio e più intimamente la propria vita con Dio
nostro Signore, cosicché questa altro non sia che un
continuo omaggio e olocausto alla maestà divina”.
San Giovanni Bosco affermò che non aveva notato in altri
sacerdoti la stessa intensità e concentrazione nella
celebrazione della S. Messa come aveva ammirato in
Rosmini.
Nessuno può concentrarsi a livello altissimo se non lo è già
a livello molto alto. Padre Clemente Rebora sembra
intendere questo quando scrive: “Egli, mistico tra i più
eccelsi, non ebbe alcuna manifestazione eccezionale, fuor di
quella di vivere totalmente e perseverantemente come una
delle membra, più esuberanti di salute, del Corpo Mistico”.
Rosmini: “una delle membra più esuberanti del Corpo
Mistico”.
Membro del Corpo mistico. Questa è la consacrazione. Una
cosa sola con Gesù, come lui con il Padre, e non io soltanto,
ma tutto il mio Istituto.
Il religioso rosminiano di voti temporanei o di voti perpetui
è membro di questo Corpo; anche il religioso rosminiano
sacerdote lo è; anche il figlio adottivo, anche la suora
rosminiana, anche l’ascritto e l’ascritta. Siamo tutti
“membra” “braccia” del suo Corpo Mistico. Occorre evitare
di dare importanza all’essere sacerdote a scapito di quella
di un consacrato o una consacrata, e nemmeno a scapito di
quella battesimale. Tutte e tre sono vocazioni coessenziali
per la vita della Chiesa.
Rosmini, che dava importanza all’essere religioso
consacrato tanto da desiderare di esserlo anche se era già
sacerdote, come già accennato sopra, ci dà un messaggio
ben chiaro. Non si tratta di togliere al sacerdozio
ministeriale nulla della sua importanza. Si tratta di
riconoscere e vivere la consacrazione religiosa nella sua
vera realtà. Altrettanto si deve dire per il sacerdozio
comune dei fedeli, trattato molto bene da lui, mentre
pochissimi al suo tempo ne facevano cenno. Su questo
viene a proposito quanto leggiamo nella regola seguente.
La regola n. 58. Anche questa è tra le poche scritte
completamente dal padre fondatore. L’ho riportata nella
lettera natalizia “Tutti amministratori”, che riguarda
l’economia, vissuta e curata da tutti, facendo squadra, a
servizio del carisma e della missione. Qui riporto solo la
prima e l’ultima frase: “Devono sapere, e tra se stessi
considerare, che tutto è sacro nella Società (nelle nostre
comunità rosminiane), poiché tutto – persone, cose e azioni
– è dedicato a Dio e al signore nostro Gesù Cristo e offerto a
suo onore e gloria”. (…). “E tutte e azioni, per sé stesse
comuni e indifferenti, siano considerate e siano compiute
secondo questo pensiero e intenzione, come sante, affinché
così facciamo sacrificio a Dio con tutta la nostra vita, e
onoriamo Iddio, Padre del Signore nostro”.
Ecco il culto vero “in spirito e verità”. Non esclude né
dispensa dalle celebrazioni liturgiche e dalle preghiere
personali, tutte necessarie. Ma queste non sono gradite a
Dio, se non provengono da persone che si sforzano di essere
“sacre” nelle loro “cose e azioni”.
Praticare la carità larga, perseverante e ordinata.
Ritornando all’emergenza sanitaria attuale, le domande
sono tante e gravi, ma non dobbiamo rinunciare a cercare
le vie personali e comunitarie della nostra missione
consacrata.
Le vie per un cammino più sicuro sono da individuare. Può
servire rileggere la Lettera quaresimale del 2015,
“Viaggiamo insieme”. Nei vari titoletti espongo
suggerimenti utili anche per oggi. “La rotta; la Compagnia
aerea; i bagagli; il propellente; i tempi di attesa; il controllo;
il decollo; l’aviogetto trimotore rosminiano; i compiti
affidati; uniti strettamente a Dio; possiamo dare sicurezza;
la cintura di sicurezza; l’equipaggiamento per l’emergenza;
le uscite di sicurezza; l’atterraggio, e altri ancora. A
proposito dell’emergenza, mi pare utile riportare quanto
scrivevo sul comportamento da attuare scrupolosamente.
Nelle istruzioni che vengono date e mimate dagli addetti si
mostra una mamma che prima di far indossare la maschera
dell’ossigeno al bambino ne indossa una lei per prima.
Sembra un assurdo. Invece. Se un medico, un operatore
sanitario, un sacerdote compiono i propri compiti
professionali o pastorali senza verificare la propria
condizione rispetto al virus…lascio a voi la conclusione.
Proprio mentre scrivo questo mi giunge la Nota della
Conferenza episcopale Italiana che specifica come si deve
agire nell’amministrazione dei Sacramenti in tempi di
emergenza sanitaria!

Lo spirito di intelligenza.
La sesta massima lo ricorda per quanto riguarda la vita
spirituale, al n. 4: “Lo spirito di intelligenza lo indurrà
sempre a pensare assai prima alla propria correzione che a
quella del prossimo”. Detto questo, quando le precauzioni
di prudenza sono garantite, il padre fondatore al n. 18 ci
scrive: “lo stesso spirito di intelligenza ci porta ad
“abbracciare cose grandissime, faticosissime,
pericolosissime”. Dobbiamo sapere abbracciare anche cose
pericolosissime se è Dio che lo vuole. E’ Gesù che ci dice di
abbracciarlo abbracciando il suo Corpo Mistico, malato
corporalmente, ma incorruttibile spiritualmente.
La resilienza.
Anche la lettera natalizia del 2016 “Il canto dei Pellicani col
Pellicano” può aiutare. Tra l’altro c’è qualche pagina con
riferimento alla “resilienza”. Ne abbiamo e ne avremo
sempre bisogno. Questa voce ebbe origine dalla fisica,
indicando principalmente il rimbalzo di un materiale simile
alla gomma rispetto al non rimbalzo di una pietra, ma è
passata a significati più ampi, tanto che questa parola viene
citata nel Nuovo Dizionario di Mistica, a pag. 1856. La
resilienza di Rosmini fu specialmente la robustezza morale
e spirituale, simile a quella del profeta al quale Dio affida un
compito difficile, ma dona anche una corazza interiore, in
modo che siano le pietre a rimbalzare indietro senza
ucciderlo. E’ augurabile che la nostra resilienza sia
altrettanto forte, accompagnata anche dall’altra forma di
resilienza, quella del rimbalzo dalle cadute, aggrappandoci
al Padre che ci abbraccia e ci bacia.
Cha cosa fare ancora?
Una scelta da fare è di spegnere le illusioni di benessere
egoistico progressivo. Mantenere la pratica della carità, che
non può essere mai spenta, né in tempo di guerra, né in
tempo di epidemia. La consacrazione a Dio continua anche
ora, perché ci siamo già donati per tutta la vita, fino alla
morte. Chi ama trova i mezzi per aiutare, senza imprudenza.
Un’altra scelta impone potature decise su tutto ciò che non
porta frutti di santità nella carità. Tanti comportamenti
succhiano tempo ed energie per ciò che non dà frutto
degno della consacrazione rosminiana in cui viviamo da
anni e da decenni.
Due testimonianze di consacrazione rosminiana.
Il maestro Ezio Viola, fratello.
I quarant’anni di quasi “deserto sacerdotale” rosminiano in
Italia. Il decreto di condanna di quaranta proposizioni tratte
dagli scritti di Rosmini emanato nel 1888 causava
l’emarginazione del suo pensiero dai centri cattolici di
cultura, dalla formazione dei futuri sacerdoti nei seminari,
dei giovani negli Istituti religiosi. Per circa quarant’anni
l’Istituto ebbe pochissimi religiosi sacerdoti. La maggior
parte erano fratelli laici, come si diceva allora. Erano
insegnanti nelle scuole elementari ed elementari, altri nei
licei. Fratel Ezio Viola era uno di questi: maestro elementare
nell’Istituto Rosmini di Torino e nel Collegio Rosmini di
Stresa.
La sua vita terrena si è compiuta quest’anno. La sua
dedizione a padre Clemente Rebora come infermiere e
aiutante nella metà degli anni ’50 del secolo scorso si era
poi trasformata in una testimonianza fedele e per decenni.
Ne hanno usufruito molto gli studiosi del nostro poeta e
scrittore. Una poesia, il pioppo, nata da una richiesta di Ezio
Viola al nostro poeta malato, fu usata da papa Francesco
nella visita al Consiglio d’Europa a Strasburgo, per stimolare
l’Europa a trarre ancora linfa dalle radici sue cristiane, che
sono la parte più sana, vera e preziosa, come nel caso della
pianta.
Quando questo confratello compì 70 anni di vita consacrata
il padre generale gli inviò una lettera. Col suo permesso
trascrivo qui la parte centrale. Possa servire a tenere in
evidenza, nella stima di tutti noi, come luce sul candelabro,
la consacrazione del religioso in quanto tale, e non solo del
religioso sacerdote.
“Guardando il Suo CV, (Curriculum Vitae) si vede che quasi
tutta la Sua vita è passata nell’ambiente delle nostre scuole
e ovviamente più recentemente a Stresa, dove era il
direttore per tanti anni. Ed è a Stresa che ho conosciuto
l’affabile e cortese Frate Ezio, sempre sorridente, calmo e
accogliente. A volte, arrivando a Stresa da Borgomanero
per la cena di Natale, mi sono incontrato con alcuni dei Suoi
ex-alunni che erano arrivati là per salutare il loro maestro
del passato – veramente, un segno del loro rispetto e stima
per Lei. Ancora, Lei resta una colonna del Collegio e per
tante persone, il fratel Ezio Viola è molto spesso il primo
Rosminiano che incontrano quando arrivano a Stresa. C’è
sempre la gentile accoglienza e la prontezza di aiutare.
Ovviamente, se vogliono visitare la tomba di Rosmini e
conoscere di più di Rebora, hanno una guida esperta ed uno
che ha una conoscenza personale dell’ultimo e una molto
meditata del primo.
Ho sempre notato la Sua cura e gentilezza con gli anziani ed
è facile dimenticare che anche Lei ha una certa età (come
dicono le persone anziane nel confessionale qui a Roma).
Però, Lei ha sempre mantenuto uno spirito e un
comportamento giovane, e mi pare che questo è dovuto a
tanti anni di servizio e cura degli altri. Tutto questo è
fondato in una vita assidua di preghiera e di raccoglimento”.
(padre James Flynn).
La professoressa Maria Cristina Boffelli, Ascritta consacrata.
La sua vita si è compiuta domenica 15 marzo, all’età di 96
anni. Era ascritta rosminiana dal 1940, una consacrazione
ineguagliabile nella durata, ma molto significativa anche
nell’intensità. Già da giovane aveva fatto il voto personale
di verginità. Oltre alla sua professione di insegnante
dedicava il tempo nelle attività parrocchiali e diocesane,
guidando gruppi biblici. In casa sua si è riunito, per più di
cinquant’anni, con frequenza più che mensile, il gruppo
degli Ascritti di Bergamo. Parecipava normalmente agli
Esercizi spirituali per gli Ascritti e Amici al Calvario. Una
volta furono tenuti da me e da lei, insieme, sulla lezione
decima “Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio”. Negli
ultimi trent’anni è stata la persona di riferimento del
Sodalizio degli Ascritti consacrati. I loro regolamenti si
trovano in Appendice ai Regolamenti degli Ascritti. Questo
sodalizio favorisce la pratica di uno dei consigli evangelici,
l’obbedienza, con l’accettazione di un compito particolare
assegnato dal padre generale. Il nucleo di questa
consacrazione, che viene rinnovata annualmente, si trova
nelle Massime di Perfezione, al n. 11, della Lezione sesta:
“Le circostanze del proprio stato e le relazioni che legano il
cristiano ai suoi simili potrebbero essere tali da
permettergli di passare alla pratica dei consigli
evangelici…”. (…). “Il cristiano abbraccerà coraggiosamente
e avidamente questi consigli: tutti, se le sue circostanze
glielo permettono, o almeno qualcuno, se nelle sue
circostanze gli è possibile abbracciarne soltanto qualcuno”.
Durante uno degli incontri a Stresa, il primo luglio, fu
invitata a dare una sua testimonianza. L’applauso che
l’accolse all’inizio riesplose quando raccontò un momento
della sua giovinezza. Si trovava in un collegio femminile,
negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale. Non
c’erano specchi per loro e quindi si dovevano accontentare
di qualche occhiata di sfuggita con ciò che potevano offrire
i vetri delle finestre, quasi fosse, questo, un peccato di
vanità. Una conversazione tenuta a loro da padre Giuseppe
Bozzetti le diede la liberazione da quel dubbio. La gioia di
quel ricordo, comunicata con spontaneità, fu condivisa con
un grande applauso dei presenti, a lei direttamente, e allo
spirito di intelligenza di padre Bozzetti. Rimane una figura
di ascritta rosminiana consacrata alla quale continuare
ancora a guardare.
Concludo
Non escludo di preparare, più avanti, un breve studio, con
rimandi alla nostra spiritualità, sugli Atti del Simposio
Internazionale sulla Consacrazione tenuto nel 2018 per
iniziativa della Congregazione della Vita consacrata, sul
tema appunto, della Consacrazione attraverso i Consigli
evangelici. E’ possibile trovarlo sul sito della Santa Sede.
Auguro un buon ricordo della nascita del Padre fondatore il
24 marzo, il ricordo del suo Battesimo il 25 marzo 1797, e,
perché no, il ricordo del 25 marzo 1839, data della “nascita”
della nostra Famiglia rosminiana dalle braccia larghe e
consacrate per una carità universale, ordinata.
Suggerisco nuovamente la preghiera proposta sul
documento finale della Congregazione Generale 2018.
L’ultima parte riguarda le quattro dimensioni della carità,
delle quali la prima è proprio la larghezza.
Roma, 25 marzo 2020.
padre Vito Nardin,
preposito generale.
Ti chiediamo
di trasferire in noi la carità
nelle sue quattro eccelse qualità
perché diano forma e luce
alle azioni di noi consacrati all’imitazione della tua carità,
alta sopra ogni scienza umana.
Aiutaci
a tenere largo il nostro cuore
per beneficare tutti, senza limiti, senza eccezioni, anche i nemici.
Donaci una grandezza di cuore insuperabile,
che applaude al bene ovunque sia
e da chiunque venga compiuto,
per essere semi di concordia e di pace sparsi tra gli uomini.
Rendici
perseveranti nella carità
per non smettere mai di amare,
per non stancarci di beneficare,
per non abbandonare mai le opere buone incominciate,
per non permettere che si spenga il fuoco sacro della carità.
La nostra carità sia tutta azione, tutta vita, tutta opere.
Mostraci
l’altezza sublime del suo fine, che è Dio.
I nostri affetti e le nostre fatiche abbiano come fine supremo
la salvezza e la beatitudine eterna dei nostri simili.
Tutte le nostre opere siano carità,
sia che riguardino l’aspetto materiale della vita,
sia quello intellettuale,
sia ciò che è vita di ogni altra vita, cioè la virtù morale e la santità.
Aiutaci
ad accettare anche l’umiliazione per la carità,
che è stata portata agli umili dall’umiliazione del Figlio di Dio.
Aiutaci ad affidarci a te, Maestro della carità,
capitano che fai dei tuoi soldati più deboli altrettanti eroi.

SIANO LARGHE LE BRACCIA
CONSACRATE DELLA FAMIGLIA
ROSMINIANA
IN TEMPI DI GRAVE PROVA
“E’ il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo” (Sal 77,16).
“Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto prodigi.
Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo” (Sal
98,1).
“Tu hai fatto uscire dall’Egitto il tuo popolo Israele
con segni e con miracoli, con mano forte e braccio possente”. (Ger
32,21).
“Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”. (Lc 1,51).
Questo titolo viene alla mente contemplando
l’affresco medioevale di Gesù crocifisso nella navata
centrale della Basilica di San Giovanni a Porta Latina, a
Roma. Probabilmente altri sono più “belli”. In questo, lo
stupore è dovuto alle sue braccia, molto larghe. La carità di
Dio è infinitamente eccedente.
Il pittore ha ignorato i piedi, pur di dare ai fedeli quasi un
“primo piano” ravvicinato ed eloquente. Perché? Il motivo
è evidente, se si osserva anche la scena della parte
superiore, la quale mostra la cacciata della coppia
peccatrice. Le bellissime porte dell’Eden rimangono
sbarrate lassù fino a quando il nuovo Adamo, Gesù,
umiliando sé stesso fino alla morte, con le braccia stese fra
cielo e terra, le spalanca perdonando i suoi crocifissori, tutti
noi, e tutti quelli che si lasciano riconciliare con il Padre.
Le braccia di Gesù ora sono anche le braccia larghe della
Chiesa, quindi anche le nostre braccia rosminiane. Noi
religiosi, fratelli e sacerdoti, figli adottivi, suore rosminiane,
ascritti: siamo la Famiglia rosminiana dalle braccia larghe,
perché la nostra carità è, e deve essere, universale.
Come tenere larghe le braccia in questo tempo di pericoli
per tante persone?
La situazione presente di grande prova per tutta l’umanità
induce a cercare l’essenziale, per cancellare molte illusioni,
senza rinunciare ad essere braccia della carità, secondo la
nostra vocazione.
Sta prolungandosi una situazione unica e imprevista. Il
Santo Padre celebra da solo, i vescovi, i sacerdoti, devono
fare altrettanto. Allargano ancora le braccia nei gesti
liturgici, le alzano, come faceva anche Gesù, mentre
pregano il Padre nostro, ma non ci sono fedeli nella chiesa.
Rinunciare a celebrare? Assolutamente no, i ministri
continuino, anche senza presenza dei fedeli. I fedeli non
disperino, anche se non possono partecipare di persona,
attivamente e fruttuosamente. Come mai?
Perché c’è un culto “in spirito e verità” presente e
indispensabile nelle celebrazioni solite, ma che non dipende
solo da esse. E’ la vita divina comunicata nei sacramenti, che
ci rendono concorporei e consanguinei con Cristo
permanentemente, e tempio abitato dallo Spirito.
Accettiamo fiduciosi tutto ciò che accade alla Santa Chiesa,
operando dietro la chiamata divina. Come il popolo
pellegrinante nel deserto durante l’esodo verso la terra
promessa, sentiamo che la “colonna di fuoco”, la presenza
divina ci mostra il cammino e mantiene “in alto i nostri
cuori, rivolti al Signore”.
Ci domandiamo: come ha fatto Antonio Rosmini a
continuare e perfezionare la sua consacrazione anche se
doveva affrontare prove molto dure?
La risposta è una sola: ha corrisposto alla grazia di Dio,
giorno dopo giorno, consacrandosi alla carità, nel culto in
spirito e verità.
E’ facile documentare questa sua consacrazione.
“E il dedicarsi e il consacrarsi a Dio, e a Dio solo piacer,
patir per Dio, del suo contento sol godere in Dio”.
Questa consacrazione era decisa e attuata, giovane prete
novello di 24 anni.
Ma già quel “consacrarsi” personalmente richiedeva un
completamento, una comunità non di soli preti, ma anche
di altre persone consacrate.
Ecco una riflessone attuale.
Dalla limitazione all’esercizio del nostro ministero
sacerdotale, cari confratelli sacerdoti, prendiamo motivo
per un esame di coscienza riguardo alla nostra stima nei
confronti della consacrazione religiosa. C’è ancora il
clericalismo, cioè la sovrastima di un ministero, inteso e
gestito come se fosse un potere. Il virus ci sarà sempre, ma
non dovrebbe toccare il nostro Istituto, lo sappiamo. Siamo
religiosi, siamo indifferenti, ma, ecco la tentazione:
abbandonare l’ Istituto, rinunciando alla propria
consacrazione religiosa.
Rosmini, invece, era già prete: si è consacrato religioso
successivamente. Questo deve significare molto. Quando
Dio piantò l’Istituto sul Calvario di Domodossola, sotto le
braccia larghe del crocifisso, anche altri quattordici erano
già preti come lui, ma erano lì per diventare religiosi
rosminiani! C’è tanto da riflettere. Scrivo questo, sia ben
chiaro, non perché diminuiscano i preti nell’Istituto, ma
perché la consacrazione religiosa a Dio e al prossimo di tutti
loro faccia ben sperare che saranno anche buoni preti.
Riguardo alla consacrazione, che cosa disse loro,
nell’omelia?
Ecco la frase sublime, stella intramontabile per lui e per noi:
“Fratelli, alla carità di Dio dobbiamo tutta la nostra
gratitudine! Pur non avendo bisogno di noi, Egli per primo
ci ha amati (1 Gv 4,19). Dobbiamo dunque effonderci in
gioia santa, perché non c’è momento più felice di quello in
cui l’uomo, venuto da Dio, si rifonde in Dio, e in cui la
creatura, mossa dal suo Creatore, a lui si consacra”.
“L’uomo, venuto da Dio, si rifonde in Dio, e la creatura,
mossa dal Creatore, a lui si consacra”. Luce perenne sulla
nostra vocazione!
Grazie a questa sua convinzione le dure prove degli anni
successivi, riguardo alle case che si dovevano chiudere, alle
missioni che non raggiungevano il risultato sperato, non
fecero entrare Rosmini in crisi di vocazione né in
depressione.
Brevissimi cenni della sua incrollabile consacrazione.
L’imperatore non dà l’approvazione delle Costituzioni, il
vescovo non continua più a sostenere l’opera in Diocesi. Per
lui è segno che Dio non ci vuole più qui, “nemo profeta in
patria”: non c’è solo il Tirolo dove poter vivere e praticare
la carità consacrata.
Il Governo gli sospende il mandato a Roma, il papa non
condivide più alcune proposte, due scritti di Rosmini
vengono vietati alla lettura. Pazienza, fiducia nella
Provvidenza; avanti, tanti altri scritti invece saranno
apprezzati e liberati da dubbi e sospetti: “Dimittantur”,
potranno circolare.
Le prove hanno messo alla prova la sua consacrazione, ma
non l’hanno potuta spegnere, l’hanno temprata, come nel
fuoco, perché forte, più della morte, era sempre il suo
amore per Dio.
Anche per noi è così. La “rifusione in Dio” è sempre
possibile; la consacrazione è per tutta la vita.
Una bella pagina della prima consacrazione rosminiana.
Ci aiuta ricordare che la nostra Famiglia rosminiana è quella
dalle braccia larghe, dalla mente alta e dal cuore grande.
E’ nata proprio quel giorno, il 25 marzo 1839.
Con Rosmini erano lì, per consacrarsi, 14 Coadiutori
spirituali (cioè Sacerdoti), cinque Coadiutori Temporali (cioè
religiosi non sacerdoti), ed erano lì anche cinque Ascritti
sacerdoti diocesani, e cinque Ascritti laici.
Inoltre, “Nell’ora medesima che al Calvario, la stessa
cerimonia si compiva in due luoghi d’Inghilterra, a
Spetsbury e a Prior Park”. Nel primo luogo fecero i voti don
Luigi Gentili e don Giovanni Battista Pagani, “nella cappella
delle Suore (rosminiane) che vollero essere presenti”. Altri
due Coadiutori spirituali, due Coadiutori temporali e uno
scolastico fecero i voti nelle mani del vescovo, nel secondo
luogo”. (Cfr. Vita di Rosmini, Pagani-Rossi, vol. II pag. 4-5).
La Famiglia rosminiana, piccola, ma completa delle sue
quattro braccia, c’era tutta, nella Solennità
dell’Annunciazione del Signore, del Verbo incarnato,
umanato.
E’ importante sostare ancora a contemplare la totalità della
consacrazione secondo l’impronta caratteristica
rosminiana. Si tratta di una cosa non da poco, anzi, della
natura della “consacrazione” rosminiana. Limitiamoci a
pochi esempi., tratti dalle Regole Comuni dell’Istituto,
stampate due anni prima. Sono 90. La gran parte sono
tratte dalle Costituzioni della Compagnia di Gesù. Tra quelle
scritte da lui, queste tre che seguono riguardano la
“consacrazione” costante, ora per ora, in qualsiasi attività.
La regola n. 1 afferma che “lo Spirito Santo è solito
imprimere nei cuori una legge interna d’amore e di
efficacissima carità; la misericordia del medesimo Spirito
porterà a compimento l’opera della salvezza e della
perfezione di tutti noi”. Ecco in che cosa consiste la
consacrazione: corrispondere allo Spirito nel portare a
compimento l’opera che ha iniziato. Consacrarmi significa
“lo star, l’andar e il ritornar con Dio”.
La regola n. 11 è ritenuta importante per la perfezione
dell’anima, che consiste in una squisita carità di Dio.
Persone particolarmente esperte nella spiritualità della vita
consacrata hanno qualificato questa regola, si potrebbe
dire, con sigillo “DOC” di grande qualità. “Il primo e più
solido esercizio di pietà (cioè di culto a Dio) consiste nello
sforzarsi di fare ogni giorno più perfettamente, con la grazia
del nostro Signore Gesù Cristo, tutto ciò che si deve
compiere secondo il proprio stato e grado, congiungendo
sempre meglio e più intimamente la propria vita con Dio
nostro Signore, cosicché questa altro non sia che un
continuo omaggio e olocausto alla maestà divina”.
San Giovanni Bosco affermò che non aveva notato in altri
sacerdoti la stessa intensità e concentrazione nella
celebrazione della S. Messa come aveva ammirato in
Rosmini.
Nessuno può concentrarsi a livello altissimo se non lo è già
a livello molto alto. Padre Clemente Rebora sembra
intendere questo quando scrive: “Egli, mistico tra i più
eccelsi, non ebbe alcuna manifestazione eccezionale, fuor di
quella di vivere totalmente e perseverantemente come una
delle membra, più esuberanti di salute, del Corpo Mistico”.
Rosmini: “una delle membra più esuberanti del Corpo
Mistico”.
Membro del Corpo mistico. Questa è la consacrazione. Una
cosa sola con Gesù, come lui con il Padre, e non io soltanto,
ma tutto il mio Istituto.
Il religioso rosminiano di voti temporanei o di voti perpetui
è membro di questo Corpo; anche il religioso rosminiano
sacerdote lo è; anche il figlio adottivo, anche la suora
rosminiana, anche l’ascritto e l’ascritta. Siamo tutti
“membra” “braccia” del suo Corpo Mistico. Occorre evitare
di dare importanza all’essere sacerdote a scapito di quella
di un consacrato o una consacrata, e nemmeno a scapito di
quella battesimale. Tutte e tre sono vocazioni coessenziali
per la vita della Chiesa.
Rosmini, che dava importanza all’essere religioso
consacrato tanto da desiderare di esserlo anche se era già
sacerdote, come già accennato sopra, ci dà un messaggio
ben chiaro. Non si tratta di togliere al sacerdozio
ministeriale nulla della sua importanza. Si tratta di
riconoscere e vivere la consacrazione religiosa nella sua
vera realtà. Altrettanto si deve dire per il sacerdozio
comune dei fedeli, trattato molto bene da lui, mentre
pochissimi al suo tempo ne facevano cenno. Su questo
viene a proposito quanto leggiamo nella regola seguente.
La regola n. 58. Anche questa è tra le poche scritte
completamente dal padre fondatore. L’ho riportata nella
lettera natalizia “Tutti amministratori”, che riguarda
l’economia, vissuta e curata da tutti, facendo squadra, a
servizio del carisma e della missione. Qui riporto solo la
prima e l’ultima frase: “Devono sapere, e tra se stessi
considerare, che tutto è sacro nella Società (nelle nostre
comunità rosminiane), poiché tutto – persone, cose e azioni
– è dedicato a Dio e al signore nostro Gesù Cristo e offerto a
suo onore e gloria”. (…). “E tutte e azioni, per sé stesse
comuni e indifferenti, siano considerate e siano compiute
secondo questo pensiero e intenzione, come sante, affinché
così facciamo sacrificio a Dio con tutta la nostra vita, e
onoriamo Iddio, Padre del Signore nostro”.
Ecco il culto vero “in spirito e verità”. Non esclude né
dispensa dalle celebrazioni liturgiche e dalle preghiere
personali, tutte necessarie. Ma queste non sono gradite a
Dio, se non provengono da persone che si sforzano di essere
“sacre” nelle loro “cose e azioni”.
Praticare la carità larga, perseverante e ordinata.
Ritornando all’emergenza sanitaria attuale, le domande
sono tante e gravi, ma non dobbiamo rinunciare a cercare
le vie personali e comunitarie della nostra missione
consacrata.
Le vie per un cammino più sicuro sono da individuare. Può
servire rileggere la Lettera quaresimale del 2015,
“Viaggiamo insieme”. Nei vari titoletti espongo
suggerimenti utili anche per oggi. “La rotta; la Compagnia
aerea; i bagagli; il propellente; i tempi di attesa; il controllo;
il decollo; l’aviogetto trimotore rosminiano; i compiti
affidati; uniti strettamente a Dio; possiamo dare sicurezza;
la cintura di sicurezza; l’equipaggiamento per l’emergenza;
le uscite di sicurezza; l’atterraggio, e altri ancora. A
proposito dell’emergenza, mi pare utile riportare quanto
scrivevo sul comportamento da attuare scrupolosamente.
Nelle istruzioni che vengono date e mimate dagli addetti si
mostra una mamma che prima di far indossare la maschera
dell’ossigeno al bambino ne indossa una lei per prima.
Sembra un assurdo. Invece. Se un medico, un operatore
sanitario, un sacerdote compiono i propri compiti
professionali o pastorali senza verificare la propria
condizione rispetto al virus…lascio a voi la conclusione.
Proprio mentre scrivo questo mi giunge la Nota della
Conferenza episcopale Italiana che specifica come si deve
agire nell’amministrazione dei Sacramenti in tempi di
emergenza sanitaria!
Lo spirito di intelligenza.
La sesta massima lo ricorda per quanto riguarda la vita
spirituale, al n. 4: “Lo spirito di intelligenza lo indurrà
sempre a pensare assai prima alla propria correzione che a
quella del prossimo”. Detto questo, quando le precauzioni
di prudenza sono garantite, il padre fondatore al n. 18 ci
scrive: “lo stesso spirito di intelligenza ci porta ad
“abbracciare cose grandissime, faticosissime,
pericolosissime”. Dobbiamo sapere abbracciare anche cose
pericolosissime se è Dio che lo vuole. E’ Gesù che ci dice di
abbracciarlo abbracciando il suo Corpo Mistico, malato
corporalmente, ma incorruttibile spiritualmente.
La resilienza.
Anche la lettera natalizia del 2016 “Il canto dei Pellicani col
Pellicano” può aiutare. Tra l’altro c’è qualche pagina con
riferimento alla “resilienza”. Ne abbiamo e ne avremo
sempre bisogno. Questa voce ebbe origine dalla fisica,
indicando principalmente il rimbalzo di un materiale simile
alla gomma rispetto al non rimbalzo di una pietra, ma è
passata a significati più ampi, tanto che questa parola viene
citata nel Nuovo Dizionario di Mistica, a pag. 1856. La
resilienza di Rosmini fu specialmente la robustezza morale
e spirituale, simile a quella del profeta al quale Dio affida un
compito difficile, ma dona anche una corazza interiore, in
modo che siano le pietre a rimbalzare indietro senza
ucciderlo. E’ augurabile che la nostra resilienza sia
altrettanto forte, accompagnata anche dall’altra forma di
resilienza, quella del rimbalzo dalle cadute, aggrappandoci
al Padre che ci abbraccia e ci bacia.
Cha cosa fare ancora?
Una scelta da fare è di spegnere le illusioni di benessere
egoistico progressivo. Mantenere la pratica della carità, che
non può essere mai spenta, né in tempo di guerra, né in
tempo di epidemia. La consacrazione a Dio continua anche
ora, perché ci siamo già donati per tutta la vita, fino alla
morte. Chi ama trova i mezzi per aiutare, senza imprudenza.
Un’altra scelta impone potature decise su tutto ciò che non
porta frutti di santità nella carità. Tanti comportamenti
succhiano tempo ed energie per ciò che non dà frutto
degno della consacrazione rosminiana in cui viviamo da
anni e da decenni.
Due testimonianze di consacrazione rosminiana.
Il maestro Ezio Viola, fratello.
I quarant’anni di quasi “deserto sacerdotale” rosminiano in
Italia. Il decreto di condanna di quaranta proposizioni tratte
dagli scritti di Rosmini emanato nel 1888 causava
l’emarginazione del suo pensiero dai centri cattolici di
cultura, dalla formazione dei futuri sacerdoti nei seminari,
dei giovani negli Istituti religiosi. Per circa quarant’anni
l’Istituto ebbe pochissimi religiosi sacerdoti. La maggior
parte erano fratelli laici, come si diceva allora. Erano
insegnanti nelle scuole elementari ed elementari, altri nei
licei. Fratel Ezio Viola era uno di questi: maestro elementare
nell’Istituto Rosmini di Torino e nel Collegio Rosmini di
Stresa.
La sua vita terrena si è compiuta quest’anno. La sua
dedizione a padre Clemente Rebora come infermiere e
aiutante nella metà degli anni ’50 del secolo scorso si era
poi trasformata in una testimonianza fedele e per decenni.
Ne hanno usufruito molto gli studiosi del nostro poeta e
scrittore. Una poesia, il pioppo, nata da una richiesta di Ezio
Viola al nostro poeta malato, fu usata da papa Francesco
nella visita al Consiglio d’Europa a Strasburgo, per stimolare
l’Europa a trarre ancora linfa dalle radici sue cristiane, che
sono la parte più sana, vera e preziosa, come nel caso della
pianta.
Quando questo confratello compì 70 anni di vita consacrata
il padre generale gli inviò una lettera. Col suo permesso
trascrivo qui la parte centrale. Possa servire a tenere in
evidenza, nella stima di tutti noi, come luce sul candelabro,
la consacrazione del religioso in quanto tale, e non solo del
religioso sacerdote.
“Guardando il Suo CV, (Curriculum Vitae) si vede che quasi
tutta la Sua vita è passata nell’ambiente delle nostre scuole
e ovviamente più recentemente a Stresa, dove era il
direttore per tanti anni. Ed è a Stresa che ho conosciuto
l’affabile e cortese Frate Ezio, sempre sorridente, calmo e
accogliente. A volte, arrivando a Stresa da Borgomanero
per la cena di Natale, mi sono incontrato con alcuni dei Suoi
ex-alunni che erano arrivati là per salutare il loro maestro
del passato – veramente, un segno del loro rispetto e stima
per Lei. Ancora, Lei resta una colonna del Collegio e per
tante persone, il fratel Ezio Viola è molto spesso il primo
Rosminiano che incontrano quando arrivano a Stresa. C’è
sempre la gentile accoglienza e la prontezza di aiutare.
Ovviamente, se vogliono visitare la tomba di Rosmini e
conoscere di più di Rebora, hanno una guida esperta ed uno
che ha una conoscenza personale dell’ultimo e una molto
meditata del primo.
Ho sempre notato la Sua cura e gentilezza con gli anziani ed
è facile dimenticare che anche Lei ha una certa età (come
dicono le persone anziane nel confessionale qui a Roma).
Però, Lei ha sempre mantenuto uno spirito e un
comportamento giovane, e mi pare che questo è dovuto a
tanti anni di servizio e cura degli altri. Tutto questo è
fondato in una vita assidua di preghiera e di raccoglimento”.
(padre James Flynn).
La professoressa Maria Cristina Boffelli, Ascritta consacrata.
La sua vita si è compiuta domenica 15 marzo, all’età di 96
anni. Era ascritta rosminiana dal 1940, una consacrazione
ineguagliabile nella durata, ma molto significativa anche
nell’intensità. Già da giovane aveva fatto il voto personale
di verginità. Oltre alla sua professione di insegnante
dedicava il tempo nelle attività parrocchiali e diocesane,
guidando gruppi biblici. In casa sua si è riunito, per più di
cinquant’anni, con frequenza più che mensile, il gruppo
degli Ascritti di Bergamo. Parecipava normalmente agli
Esercizi spirituali per gli Ascritti e Amici al Calvario. Una
volta furono tenuti da me e da lei, insieme, sulla lezione
decima “Dell’ordine delle cose da chiedere a Dio”. Negli
ultimi trent’anni è stata la persona di riferimento del
Sodalizio degli Ascritti consacrati. I loro regolamenti si
trovano in Appendice ai Regolamenti degli Ascritti. Questo
sodalizio favorisce la pratica di uno dei consigli evangelici,
l’obbedienza, con l’accettazione di un compito particolare
assegnato dal padre generale. Il nucleo di questa
consacrazione, che viene rinnovata annualmente, si trova
nelle Massime di Perfezione, al n. 11, della Lezione sesta:
“Le circostanze del proprio stato e le relazioni che legano il
cristiano ai suoi simili potrebbero essere tali da
permettergli di passare alla pratica dei consigli
evangelici…”. (…). “Il cristiano abbraccerà coraggiosamente
e avidamente questi consigli: tutti, se le sue circostanze
glielo permettono, o almeno qualcuno, se nelle sue
circostanze gli è possibile abbracciarne soltanto qualcuno”.
Durante uno degli incontri a Stresa, il primo luglio, fu
invitata a dare una sua testimonianza. L’applauso che
l’accolse all’inizio riesplose quando raccontò un momento
della sua giovinezza. Si trovava in un collegio femminile,
negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale. Non
c’erano specchi per loro e quindi si dovevano accontentare
di qualche occhiata di sfuggita con ciò che potevano offrire
i vetri delle finestre, quasi fosse, questo, un peccato di
vanità. Una conversazione tenuta a loro da padre Giuseppe
Bozzetti le diede la liberazione da quel dubbio. La gioia di
quel ricordo, comunicata con spontaneità, fu condivisa con
un grande applauso dei presenti, a lei direttamente, e allo
spirito di intelligenza di padre Bozzetti. Rimane una figura
di ascritta rosminiana consacrata alla quale continuare
ancora a guardare.
Concludo
Non escludo di preparare, più avanti, un breve studio, con
rimandi alla nostra spiritualità, sugli Atti del Simposio
Internazionale sulla Consacrazione tenuto nel 2018 per
iniziativa della Congregazione della Vita consacrata, sul
tema appunto, della Consacrazione attraverso i Consigli
evangelici. E’ possibile trovarlo sul sito della Santa Sede.
Auguro un buon ricordo della nascita del Padre fondatore il
24 marzo, il ricordo del suo Battesimo il 25 marzo 1797, e,
perché no, il ricordo del 25 marzo 1839, data della “nascita”
della nostra Famiglia rosminiana dalle braccia larghe e
consacrate per una carità universale, ordinata.
Suggerisco nuovamente la preghiera proposta sul
documento finale della Congregazione Generale 2018.
L’ultima parte riguarda le quattro dimensioni della carità,
delle quali la prima è proprio la larghezza.
Roma, 25 marzo 2020.
padre Vito Nardin,
preposito generale.
Ti chiediamo
di trasferire in noi la carità
nelle sue quattro eccelse qualità
perché diano forma e luce
alle azioni di noi consacrati all’imitazione della tua carità,
alta sopra ogni scienza umana.
Aiutaci
a tenere largo il nostro cuore
per beneficare tutti, senza limiti, senza eccezioni, anche i nemici.
Donaci una grandezza di cuore insuperabile,
che applaude al bene ovunque sia
e da chiunque venga compiuto,
per essere semi di concordia e di pace sparsi tra gli uomini.
Rendici
perseveranti nella carità
per non smettere mai di amare,
per non stancarci di beneficare,
per non abbandonare mai le opere buone incominciate,
per non permettere che si spenga il fuoco sacro della carità.
La nostra carità sia tutta azione, tutta vita, tutta opere.
Mostraci
l’altezza sublime del suo fine, che è Dio.
I nostri affetti e le nostre fatiche abbiano come fine supremo
la salvezza e la beatitudine eterna dei nostri simili.
Tutte le nostre opere siano carità,
sia che riguardino l’aspetto materiale della vita,
sia quello intellettuale,
sia ciò che è vita di ogni altra vita, cioè la virtù morale e la santità.
Aiutaci
ad accettare anche l’umiliazione per la carità,
che è stata portata agli umili dall’umiliazione del Figlio di Dio.
Aiutaci ad affidarci a te, Maestro della carità,
capitano che fai dei tuoi soldati più deboli altrettanti eroi.

Lettera Natale 2019

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